Da ex-atleta (pallavolo, numerosi campionati tra A e B, all’età della pietra), mi sono sempre chiesta se aver sacrificato tante ore in palestra a ripetere all’infinito gli stessi gesti tecnici e seguire regole ferree tra i 12 e i 30 anni mi abbia dato o tolto qualcosa, oppure sia stato solo un mezzo per proteggermi dai pericoli della vita, come credo pensassero i miei apprensivi e severi genitori.
Con il passare degli anni il mio amore per lo sport (qualsiasi genere di sport, anche se con alcune preferenze) è aumentato ma necessariamente cambiato, e mi sono interessata sempre di più alle relazioni tra lo sport e il resto della vita (scuola, lavoro, amicizie, amore, ecc.). Ho ammirato ed ammiro chi parla e scrive di sport con passione e competenza e continuo a commuovermi di fronte ai gesti atletici (meglio se perfetti), a prescindere dal risultato (anche se vedere o partecipare alla gioia incontenibile di chi vince è bellissimo). Tra i molti che leggo, ascolto ed ammiro, i miei preferiti sono Flavio Tranquillo e l’accoppiata Gianni Clerici e Rino Tommasi in televisione e Julio Velasco, Mauro Berruto e Paolo Condò sul web, sulla carta stampata o dal vivo. Mi piacciono non solo per la competenza, ma anche perché sono attenti al contorno e al forte contenuto simbolico dello sport.
Non ho certezze scientifiche, ma penso di saper riconoscere chi ha praticato lo sport in modo serio o per lo meno continuativo (tanto da introiettarne alcune regole). Chi ha fatto e fa sport sa che si è deciso prima come si gioca (ci sono delle regole) e che ci vogliono alcune abilità specifiche e molto spirito di sacrificio. Chi lo ha fatto in modo sano e senza barare sa che lo sport insegna dei valori, come la lealtà e la solidarietà, ma anche a confrontarsi con l’errore, con la sconfitta e con il riconoscere che un altro è più forte e più bravo.
La sconfitta è il punto cruciale e, nelle mani di buoni maestri, dovrebbe diventare uno stimolo a migliorarsi sul campo ma anche a maturare individualmente, lavorando sui propri limiti e possibilmente sul loro superamento (“scelgo, sbaglio, capisco, rifaccio”, cfr. Luca Zannese, altro Professore che insegna contenuti).
Cosa ci portiamo dello sport nella vita reale, soprattutto se scegliamo una professione di aiuto (Medico, Infermiere, ecc.)? Molto, credo. Nel mio caso, lo spirito di servizio, la costanza nei tentativi di migliorami, studiando sempre, il continuo desiderio di lavorare in squadra e, purtroppo, una grande severità con me stessa e con gli altri.
Continuando a chiedermi quali degli insegnamenti dello sport possano essere mantenuti e diffusi, ho fatto una chiacchierata con Michele Zerial, ex-atleta olimpionico (Pechino, 2008), ex-vicecampione europeo ed ex-campione italiano (per ben 26 volte) di canoa-kayak, oggi Medico Radiologo presso l’ospedale di Feltre (ULSS 1–BL).
Cos’ha in comune la vita dell’atleta, scandita da orari rigidi e ripetitivi, con quella lavorativa?
Sono certo che avere più interessi ed impegni (lavoro, studio, sport, allenamento, relazioni sociali ecc.) nell’arco della giornata, e quindi poco tempo per svolgerli tutti, sia il migliore stimolo per ottimizzare il tempo, cercando di sfruttare al meglio ogni minuto, ed evitare i tempi morti, insomma per cercare di trarre il 100% da ogni cosa che si fa, tentando contemporaneamente di liberarsi del superfluo. Questa è la prima regola che secondo me ti insegna lo sport agonistico.
Io, per esempio, per anni ho studiato, frequentato scuola ed Università e dato esami allenandomi due volte al giorno.
Essere sportivi aiuta nello studio della medicina o a fare il Medico?
Quando facevo le gare, per me l’unico obiettivo era arrivare primo. Certo, in alcune gare importanti anche il podio o esser selezionato per la finale erano successi, ma il vero successo è l’oro! Ogni volta che non riuscivo ad arrivare primo mi sentivo sconfitto, ma questo era uno stimolo ad allenarmi di più e meglio. In questo è stata la medicina ad aiutarmi nello sport e non viceversa… Infatti pensare ai veri problemi della vita (tumori, chemioterapia, terapie croniche invalidanti, qualità di vita compromessa, vedere la sofferenza delle persone..), che in ospedale vedi quotidianamente, ti fa capire che essere un atleta in ottima forma e demoralizzarsi per problemi “relativi”, che in verità non sono problemi ma sciocchezze, ti toglie quella tensione/ansia da prestazione che nella competizione sarebbero solo uno spreco di energie…anzi ti rendi conto della bellezza delle piccole cose e della fortuna di averle.
Un effetto analogo ma in un certo senso opposto me lo dava lo sport quando andavo a fare gli esami di medicina… Sostenere un esame era una cosa importantissima per me ma, davanti al professore o prima di compilare lo scritto, pensare di dover andare alle prossime olimpiadi (Londra 2012) mi serviva a non riporre tutte le mie aspettative in quell’esame e ad affrontarlo con un po’ di leggerezza… e quindi spesso a rendere di più.
La sconfitta sportiva insegna o ti prepara ad affrontare l’errore professionale?
Io facevo i 500 m e i 200 m in K1 (singolo), quindi gare di velocità e da solo. Nello sport di alto livello non è concesso nessun errore: basta una partenza un attimo in ritardo, un colpo eseguito con tecnica non perfetta o girarsi verso gli avversari durante la gara per perdere quei centesimi di secondo che alla fine potrebbero esser cruciali nel risultato. In K1 la colpa o il merito sono solo tuoi, non ci sono scuse.
Nel lavoro del Medico l’errore è potenzialmente ancora più grave, perché non vedere un piccolo lembo di dissezione, una minuta lesione in un pancreas o in un fegato o un piccolo nodulo polmonare (e di esempi ce ne sarebbero a migliaia) influenza la vita di una persona… non si può e non si deve sbagliare, e spero di aver mantenuto la capacità di concentrarmi sui piccoli particolari che lo sport insegna.
Adesso come vivi lo sport?
Oggi onestamente non sento più il bisogno di competere in canoa, faccio qualche allenamento per tenermi in forma, ma crescendo sono cambiati anche i miei obiettivi, che oggi sono professionali. Mentre in canoa i miei obiettivi erano i campionati europei e mondiali ed i giochi olimpici, nel mondo della medicina sono ancora “ai campionati regionali” ed in questo campo non si diventa vecchi a 30-35 anni! Nel nostro lavoro non si smette mai di imparare, escono ogni anno molte novità, quindi è molto stimolante avere casi nuovi, difficili, da studiare con varie metodiche. Oltre alla diagnostica trovo stimolante anche il mondo della Radiologia interventistica, fare biopsie e vedere se le diagnosi di imaging erano giuste e poi trattarle (TACE, termoablazioni ecc.); anche questo settore della Radiologia si sta evolvendo in un modo impressionante e trovo tutto questo veramente affascinante.
Succede anche nel lavoro che, come nello sport, l’allenamento libera endorfine che ci fanno sentire bene. Come nello sport è giusto avere dei periodi di “carico e scarico” nella programmazione degli allenamenti, così anche nel lavoro cerco di condensare i turni in ospedale e poi avere dei giorni liberi per tornare a casa, da mia moglie, dagli amici e dalla famiglia, ed in questi periodi di relax trovo il tempo per studiare. Il bello di questa mia fase della vita è poter studiare per interesse, per se stessi e non per imposizioni o per gli “esami universitari”.
Ritengo che lo sport sia una gran palestra di vita e sia utile a tutti, ma sento di dovere ringraziare i miei genitori che mi hanno fatto capire che lo sport non è tutto; credo infatti che esso sia fondamentale nella prima parte della vita, quando il fisico è al top, ma che poi bisogna sapersi convertire in qualcos’altro. In questo la medicina è un ottimo sostituto: utilizzando più il cervello che i muscoli ha “un’aspettativa di vita” molto più lunga e quindi confido che mi dia ancora grandi soddisfazioni.
Grazie, Michele, e buon proseguimento!
Molto interessante. Condivido tutto tranne la componente olimpionica ovviamente👍👍👍
Grazie, Patrizia, il tuo commento mi fa piacere anche perché arriva da una vera sportiva.
In realtà la vita dei Medici che hanno praticato e praticano sport a qualsiasi livello abbia molti punti in comune. E’ stato bello e più facile studiare medicina e partecipare a gare e manifestazioni sportive. Lo sport ti insegna soprattutto il sacrificio ed il desiderio di riuscire a raggiungere mete anche se questo per molti ha significato una semplice medaglia o coppa. Io le conservo tutte gelosamente come cimeli di una vita vissuta serenamente è semplicemente grazie allo sport ed allo studio. Non ho mai smesso di praticare entrambe.
Grazie!
(N.d.R.: per chi non lo sapesse, Patrizia è un’eccellente tennista).
(N.d.R. n.2: oltre che Primario Radiologo e ottima Radiologa Interventista)