Silvia Magnaldi - Specialista in Radiologia - Blog di Medicina, Attualità e Sport

Sono curiosa di conoscere cos’è cambiato nella tua vita dopo il pensionamento.

Sono pensionata da qualche mese, ho lasciato (lo confesso, con una punta di amarezza, di nostalgia) una professione che ho molto amato, l’insegnamento, che mi ha coinvolto e appassionato moltissimo ed il tutto è avvenuto nel corso della pandemia COVID19 che ha destabilizzato il globo intero. Questo passaggio dal mondo lavorativo a quello sonnacchioso del pensionamento, reso ancor più grave dalla forzata clausura e dalla mancanza di relazioni umane vive e stimolanti, mi ha causato una sorta di frenesia, di agitazione interiore, di desiderio di appagamento di un qualcosa di inesprimibile.

Che piega devo dare ora alla mia vita? Casalinga disperata ed annoiata? I figli? Meglio che se la cavino da soli dopo vari tentativi di indirizzarli, finiti male. Ho superato faticosamente l’illusione di poter “gestire” ancora la loro vita. Parlare dei figli vuol dire aprire un capitolo, non è il caso. Nipoti non se ne vede l’ombra, per cui neanche nonna potrei essere, quindi? Tutti i miei sogni di viaggi, di visite alle mostre, di riprendere regolarmente gli appuntamenti con cinema e teatro sono naufragati con l’emergenza pandemica.

Quindi? Devo dare un senso a questa libertà improvvisa, anche se condizionata dalla pandemia, fare il punto della situazione, chiarirmi le idee. Il troppo tempo libero da impegni pressanti ti stordisce, sei talmente abituata a doverlo riempire di elementi costruttivi ed intellettuali che ti senti in crisi di astinenza.

Nostalgia della scuola?

Non ho neanche più compiti da correggere… Non ne ho nostalgia, per carità, era l’incombenza più pallosa dell’insegnamento. Quante ore a leggere quei compiti astrusi, con grafie geroglifiche, cercando di ricostruire il filo logico del discorso…ma spesso non c’era proprio! Che fatica far capire ai ragazzi che certi errori sintattici non sono permessi, che gli anacoluti sono da evitare, che le citazioni vanno incluse tra le virgolette e così via. Ma il bello era essere in mezzo ai miei allievi, aiutarli nelle loro difficoltà, discutere sui vari temi che la letteratura o la storia propongono, farli ragionare, pensare…

Spero di aver lasciato qualcosa, soprattutto di aver trasmesso il metodo di lavoro, utile per i futuri studi universitari, oppure di aver offerto un contributo di umanità agli allievi colpiti dalle tragedie della vita, la perdita di un genitore, di un amico. Quanti ragazzi ho “sfornato”, alcune foto mi riportano alle classi quinte degli ultimi anni… che belle facce, che sintonia e che ironia tra di noi! Di loro ho nostalgia, mi sentivo utile nella misura in cui riuscivo ad entrare nella loro lunghezza d’onda e potevo incidere in qualche modo nel loro vissuto.

Ecco, da pensionata, non ti senti più “utile” alla società, è questo l’aspetto che non riesco ancora a metabolizzare. E’ vero che sono utile alla mia famiglia ma il lavoro ti completa, hai riconoscimenti che vanno oltre i rapporti affettivi e ciò non è poco per mantenere un certo equilibrio psichico. Paradossalmente l’odiata sveglia mattutina che mi costringeva ad alzarmi arrancando al mattino, il dover sistemarmi per essere presentabile in classe, le lezioni, ma poi anche le faccende casalinghe del quotidiano davano un ritmo alla giornata… anche se, piuttosto frenetico! Tante volte mi complimentavo con me stessa per essere riuscita a sbrigare tutto: spesa, pranzo, cena, correzione compiti, preparazione lezioni… Si diventa, con il tempo, dei veri robot, programmati per sopperire a tutte le mansioni! Con i figli adulti le incombenze si alleggeriscono, ma, ricordo, quando erano piccoli dovevo fare i salti mortali per riuscire a prepararli, portarli a scuola, riprenderli, ecc. Quante volte mi è capitato di accorgermi in classe che avevo la maglia alla rovescia o le calze smagliate… che figura! Il colmo era capitato ad una collega nelle mie stesse condizioni che arrivò un giorno a scuola con una scarpa per sorte… che risate!!!

Ora invece il ritmo si è allentato improvvisamente e i rituali giornalieri sono molto agevoli per cui posso anche scrivere, studiare ciò che mi piace, senza addormentarmi sulla pagina alle 10 di sera, come ultimamente mi accadeva.

Stai dicendo che ci vuole fisico anche per l’insegnamento?

Certamente! Il fatto è che bisogna fare i conti anche con le risorse fisiche che, mi accorgo, non sono quelle di un tempo, sono meno resistente agli sforzi, ho bisogno di pause, di riposo.  Ho fatto molta fatica ad arrivare a fine anno scolastico, lo scorso giugno, con quei ritmi assurdi, con la didattica a distanza che mi aveva ossessionata, sempre al computer, dalla mattina alla sera! Ne sono uscita provata, perciò la decisione che ho preso va bene, i ragazzi hanno diritto di avere insegnanti vitali ed energici, è una professione che, se intrapresa con passione, ti prosciuga, ti coinvolge in toto.

Il rammarico è che tanti colleghi giovani che ho lasciato sul campo di battaglia sono già spenti a 35 o 40 anni… ma come si fa? E’ il mestiere più bello del mondo, non si può ridurlo ad una trita routine, non funziona così! Vabbè basta!

Mi mancano però le mie colleghe/amiche, quelle che la pensano ed operano come ho fatto io e con le quali il dialogo è sempre aperto ma purtroppo si è diradato. Loro sono continuamente sotto sforzo mentre io ormai me la prendo comoda.

Forse la tua reazione è comune a coloro che hanno amato la loro professione, per quelli che invece l’hanno “sopportata” a fatica il discorso è diverso…

Può essere, comunque è la prospettiva, mi accorgo scrivendo, che andrebbe cambiata! Non sono abituata a pensare egoisticamente, a curarmi un po’ di più, a trovare piacere anche nel non fare nulla di essenziale e necessario. Dovrei essere più benevola e condiscendente con me stessa, considerare che i tre quarti della vita sono stati spesi nel dare e che ho avuto anche dei riconoscimenti, piccole gratificazioni.

Siamo certamente vittime della logica produttivistica ed utilitaristica del nostro sistema, per cui non far parte più dell’ingranaggio destabilizza, anche se il mio lavoro esula dal mero raggiungimento del guadagno. Dovremmo finalmente liberarci da quest’ottica limitante e considerare la vita nella sua essenza, assaporarne i valori, dedicarci effettivamente a ciò che ci attrae. Non devo sentirmi in colpa se me ne sto per due ore a leggere sul divano o se vado a camminare nel pomeriggio.  Ora non c’è più frattura tra il fine settimana e il lunedì, ora paradossalmente è sempre domenica per uscire e organizzare qualcosa di alternativo, COVID permettendo. Non mi ci sono ancora abituata…

Pensi spesso al futuro?

Penso allo scorrere del tempo. L’incognita del domani, il futuro incerto sono un tarlo della coscienza perché si sa che prima o poi il decadimento arriverà. Quello che mi fa star male è che i miei progetti di viaggi, che mi galvanizzano sempre, sono sfumati miseramente e non si intravede per ora via d’uscita. Il rimandare, posticipare, alla mia età, è sempre pericoloso, perché, appunto, la tenuta fisica ha certamente un limite e il tempo non si potrà recuperare…  

La tensione e la paura del contagio che si avvertono fuori accentuano il senso della precarietà del vivere e mi immalinconiscono.

Per una donna l’invecchiamento è frustrante, alla nostra età ancora di più. Come lo affronti?

E’ dura guardarsi allo specchio e constatare l’effetto mostruoso del tempo che passa, le rughe che diventano più profonde, i capelli che si diradano e non hanno più la corposità di una volta, la pelle del corpo più cadente…Che strano, mi sembra ieri che osservavo le stesse cose in mia madre che stava invecchiando ed eccomi, ora sono come lei, mi sembra ieri…Ciononostante, mi sforzo ancora di darmi un certo tono, mi trucco (poco!), mi vesto come sempre, jeans e maglietta, visto che ho conservato un fisico ancora snello, e, tutto sommato, l’aspetto esteriore non è proprio da vecchia bacucca. Del resto, ho sempre odiato quelle facce gonfie e botuliniche di tante donne dello spettacolo che vogliono sfidare il tempo ed anacronisticamente si presentano come ragazzine se riprese da lontano, ma come mostri se la telecamera si avvicina al volto. Quando mi capita di guardarle sullo schermo mi viene sempre in mente la storiella della vecchia imbellettata di Pirandello, che la dice lunga ed è ancora attuale…Quanto più belle e più vere sono le facce delle donne autentiche, quelle che hanno tanto da insegnare come Liliana Segre, dove ogni segno sul viso rappresenta un traguardo o un momento importante della loro vita. La classe e la signorilità di certe donne ultrasessantenni si misurano appunto sul decoro della propria immagine, di chi ha saputo far trasparire attraverso l’aspetto esteriore anche la propria anima.

Nonostante queste riflessioni, di cui sono convinta, rimane comunque la malinconia legata all’inesorabilità del tempo distruttore, la tristezza di un destino che inevitabilmente vede la fine più vicina. E’ ciò che avverto, un pensiero ricorrente che poi cerco di cancellare pensando ad altro, a chi sta davvero male in questo maledettissimo periodo di malattia e morte.

Come lo stai vivendo?

Siamo letteralmente bombardati da notizie contrastanti riguardo a questo virus della malora: virologi, infettivologi, biologi e chi più ne ha più ne metta si alternano a dirla più sensazionale dell’altro col risultato della confusione estrema. Siamo nelle festività di Natale e i provvedimenti del nuovo decreto mi sembrano deliranti… Il clima di terrore viene acuito dalla perdita di molte persone che hanno rappresentato qualcosa per me, che mi hanno aiutata a crescere, ogni volta è una botta dura che mi ricorda ancora una volta la fugacità della vita, del tempo…

Anche tu sei più critica e cinica?

Ecco, direi che con l’età che avanza sto diventando sempre più cinica, intollerante verso l’ipocrisia, le fake news, verso coloro che vendono fumo, verso chi dimentica le lezioni della nostra storia. Trovo consonanza e consolazione ancora rileggendo i miei vecchi autori e mi commuovo ancora davanti a certe pagine memorabili.

Insegnante di lettere impenitente e un po’ rincoglionita? Forse, ma riesco a percepire davvero la lezione dei nostri grandi autori, maestri non solo di stile ma di profondi contenuti sempre attuali.

Che cosa fai oltre a leggere?

Cucino, mi piace, mi distende e trovo soddisfazione se il prodotto finale è all’altezza delle aspettative. Mi gratifica che i mei figli e mio marito apprezzino, o che gli amici trovino buono il cibo offerto. Se ho ospiti, però, da un po’ di tempo, mi faccio un sacco di problemi, mi viene l’ansia…e se non gradiscono? E se non mi riesce bene quella torta che loro si aspettano? Ma io sono sempre stata ipercritica prima con me stessa che verso gli altri e in vecchiaia si dice che certi lati del carattere vengono ingigantiti.

Mi piace molto anche camminare, perciò mi trovo con delle amiche e per tutta l’ora non teniamo la bocca chiusa, abbiamo sempre tante cose da dirci. Scommetto che, se invece di un’ora ne facessimo 2 o 3, sarebbe lo stesso! Tra donne ci si intende, c’è rispetto, condivisione e lo stare assieme è fonte di piacere, mi appaga, mi riconcilia con il mondo. Un mondo gestito dalle donne, sono convinta, sarebbe più “umano”, più tollerante, più aperto, insomma PIU’!

Una visione religiosa della vita può essere di grande sostegno, farci sentire meno soli, dare significato anche alla vecchiaia…

Rileggendo queste righe mi accorgo che traspare una visione molto laica della vita, forse chi ha il dono della fede è confortato da una prospettiva più ottimistica, più fiduciosa, per cui c’è una maggiore accettazione anche del male di questo mondo. C’è una mia amica, insegnante pure lei, ad esempio, che stimo molto, che conduce una vita, a dir poco, piena: quattro figli, 5 nipoti che accudisce spesso, una madre anziana, e trova anche il tempo per il volontariato! Il tutto sempre con il sorriso sulle labbra, illuminata dal trascendente! E’ invidiabile perché non ha mai tentennamenti ed è riuscita magicamente a collocare ogni tassello nel modo giusto, dando sempre il giusto valore a quello che fa.

Tante volte mi capita di desiderare di andare in chiesa, di pregare, di voler credere nell’aldilà; e magari ci vado in chiesa, prego, a modo mio, ma poi tutto svapora, prevale il mio materialismo, la mia razionalità. Considerando, però, che tanti autori atei si sono convertiti nella fase finale della vita, ho ancora speranza che arrivi la folgorazione. Credo che la fede rappresenti davvero un’ancora di salvezza in certi momenti della vita e dia un senso anche alla sofferenza. E’ molto più dura per noi, illuministi ad oltranza, fare ordine nei nostri principi, stabilire le priorità e non cadere nella depressione che è sempre all’angolo, quando pare che tutto remi contro. Insomma, come si capisce, io ancora non ho fatto ordine, sono nella fase acuta del ribollimento interiore e lo scrivere mi aiuta a fissare o confutare pensieri, idee. Per ora sono un fiume in piena, spero di trovare pace, di raggiungere un nuovo equilibrio, senza false illusioni, ma perlomeno accettabile e dignitoso.

Voi direte: “Beata lei, ha raggiunto il traguardo sognato, la pensione, ma cosa vuole di più?” Vi aspetto al varco…

12 Commenti

  1. Paola

    La generazione di donne (aggiungerei italiane) che si aggira sui 60 sta vivendo tutte le contraddizioni dell’ epoca: educate e allenate al senso del dovere non si sono mai tirate indietro, convinte che la cultura e la bellezza siano emancipazione e nutrimento dell’anima le ricercano in ogni dove, continuano a credere che la famiglia sia importante anche quando i loro matrimoni sono falliti e ne vivono ancor più la frustrazione, hanno pensato troppo spesso di essere fondamentali, ma sono sicuramente importanti e significative per i figli e le persone che vivono loro vicino. Non hanno rinunciato ad essere madri, magari non giovanissime, e così si ritrovano pienamente adulte con figli ancora adolescenti, o comunque non autonomi, e genitori anziani da accudire con amore, talvolta senza la vicinanza di un compagno di vita. Naturalmente lavorano o hanno lavorato.
    E’ legittimo sentirsi “nude”, come mette in evidenza Franca, fragili e vulnerabili, soprattutto quando la vita impone delle soste. E per questo è bello, intrigante e stimolante vivere queste sensazioni condividendole. Le zone d’ombra rimarranno, non illudiamoci, ma non in solitudine. Grazie Franca.

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  2. barbara pascoli

    Da giovani viviamo come se avessimo l’eternità davanti e 80 anni ci sembrano un’eternità. Ma il tempo passa per tutti, anche per noi, e capita di rendersene conto solo quando accade qualcosa che ci costringe a prenderne atto. Di tragico, come la morte di un genitore o un incidente. Oppure di più semplice, come la fine dell’attività lavorativa nelle belle parole di Franca.
    Il problema è il tempo: non il fatto che ce ne ritroviamo di colpo tanto, ma il fatto che sappiamo che presto il nostro finirà. Un bacio a Franca, con l’augurio di godere a pieno di ogni attimo.

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  3. Rosanna Pisciotta

    Beh Franca che dire come al solito perfetta …e bella ….bella da leggere…. questa volta! Eh…si… la bella bionda che mai avrei pensato potesse andare in pensione… quella che ti tirava su col suo sorriso sulle scale o nei corridoi quando ci si incrociava … quella con la quale ci si intendeva anche con le poche parole scambiate nella fretta delle pause ….ora si racconta….e condivide con noi la sua esperienza…Sei talmente vera…che mentre leggo …Mi vedo già in pensione con te!!! Come non concordare…come non comprenderti…. Questa pandemia ha cambiato anche il nostro essere docenti e il nostro futuro… di donne…è così difficile per tutti, ma sappi che quando possiamo, con alcune colleghe….collaboriamo e ci sosteniamo virtualmente…quindi l’invito e aperto… L’unico limite Ahimé ….come tu dici ..è il tempo : il tempo con la dad o Did si e’ ancor di più ridotto … Ma se vuoi provare l’emozione dei tuoi ultimi mesi puoi collegarti con noi con zoom o meet…. sperando che un giorno, ci auguriamo tutti molto vicino , tu ci possa dire: ” Domani parto per…”

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  4. Chiara

    Franca, come sempre, è un piacere leggerti ma ancor più ascoltarti. Leggere il volto in questi tempi manca molto. Condivido tutte le cose che hai scritto, i figli, i tempi del lavoro, la ricchezza del condividere la vita con gli allievi, la cura per noi che dimentichiamo per gli altri…. e alla fine quella fede che attendiamo… Bello, sentito, autentico… Un abbraccio
    Chiara

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  5. Marta Cesare

    John Lennon ha detto “La vita è quello che ti succede mentre tu sei impegnato a fare altri progetti”.
    Credo sia la stesa conclusione a cui arriviamo tutti noi in certi momenti della nostra esistenza. Micro-bilanci in cui, improvvisamente, ci rendiamo conto di essere arrivati ad un certo livello (un po’ come nei videogames), il che implica aver vissuto delle esperienze e concluso una fase del percorso.
    Finire gli studi, trovare un lavoro, creare una relazione stabile, avere dei figli, rompere una relazione, vedere i figli diventare autonomi, la morte dei genitori, il pensionamento … non tutte queste cose per tutti, né necessariamente in successione lineare, né con lo stesso ordine, naturalmente!
    In vista dello step successivo, questi momenti di consapevolezza implicano un riassestamento che, a sua volta, comporta una metabolizzazione del proprio vissuto.
    Possono essere fasi di progressione, fasi di stallo, fasi di decelerazione…ma al di là di venir classificata dall’esterno, in base al comune sentire dell’ambiente e della società in cui viviamo, ogni fase viene valutata in base alla personale visione di ciascuno. Sul giudizio finale e sullo stato d’animo che ne consegue, credo incida in quale misura ciò che è successo sia più o meno coerente con la mia “mappa del mondo”, il mio progetto di vita, le mie aspettative, il mio investimento (energetico ed emotivo)
    Più c’è aderenza e sintonia più ci sono tranquillità, serenità e senso di compiutezza, se invece c’è divergenza o qualcosa di irrisolto, la transizione sarà più difficile, meno fluida e porterà con se rimpianti, recriminazioni…
    La società occidentale tende a non considerare la morte come parte della vita e tende a rimuovere questa che è forse l’unica certezza che abbiamo. La nostra finitezza, con le sue implicazioni sul modo di percepire il tempo, diventa il criterio che riordina la nostra esistenza. Nel quotidiano però siamo considerati più spesso per ciò che facciamo e abbiamo fatto, che per quello che siamo e siamo stat*. Quante tacche sul nostro fucile? Un po’ come con le figurine Panini: “celo, celo, manca, manca…”.
    Forzando il buon Montaigne, mi sento invece di dire: meglio una vita «bien faite plutôt que bien pleine”!
    Dopo il disorientamento che segna ogni cambio di livello, ci sarà chi guarda il bicchiere vedendolo mezzo pieno e chi lo vedrà mezzo vuoto. Personalmente, alla soglia dei sessant’anni, sto semplicemente tentando di continuare a riempirlo…non compulsivamente, ma cercando un vino di qualità, con caratteristiche più adatte ad accompagnare, di volta in volta, la pietanza servita in quella portata.
    Grazie a Franca per l’autenticità e la generosità con cui ci ha fatto entrare nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, dandomi così l’opportunità di fermarmi a riflettere sul senso che voglio dare alla mia esperienza.

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  6. Andrea

    Ciao mamma, ho letto ora l’articolo. Lo so che avresti voluto per noi figli un percorso lineare, senza spine, preservarci dalle sofferenze e difficoltà ma ognuno di noi ha una propria identità. Col tempo si matura e ognuno di noi deve fare nella vita ciò che meglio crede per sentirsi realizzato, anche perché molto probabilmente la vita è una ed una sola e allora bisogna seguire il proprio istinto. Tu sei stata fin troppo presente e vicina nella nostra vita e, posso dire che, nonostante io abbia intrapreso una via professionale che non ti convince, custodisco sempre i tuoi insegnamenti e per me sei un modello di mamma. Non ti crucciare per noi!

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  7. Igor

    Un bellissimo racconto di una persona speciale, di un cambiamento che sembra semplice ma reso ancora più difficile dal contorno attuale.
    La routine di oggi porta inevitabilmente a pensare a quella del passato riscoprendo sensazioni, emozioni e ricordi che magari si credevano perduti.

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  8. Alessandra

    C’ è poco da dire: la vita cambia, eccome, dopo la pensione! E mi riconosco in questa tua analisi sincera e aperta della questione. È un bel dire intorno a noi: avrai tempo per coltivare interessi, passioni, avrai tempo ……, ma bisogna fare i conti con quella che è stata la tua vita precedente, con gli stimoli intellettuali e sociali di cui si è nutrita ogni giorno. Anch’io scelsi convintamente questo mestiere da giovane ed è stata un’avventura appassionante, in un mondo composito, ricco, intergenerazionale. Non potevo volere di più. Non avrei potuto avere di più. Ora mi manca soprattutto lo scambio, che va dalla battuta mattutina di malumore alla dissertazione epistemologica, ma c’ è e ti attiva il cervello, ti dà chiavi di lettura. Quel contesto di scambio continuo mi manca. Anche perché in famiglia è un’altra cosa: lì i ruoli sono già definiti da tempo e ‘il gioco delle parti’ non cambia!
    E poi, cara Franca, possiamo dircelo con sincerità : il virus ci ha fregato! Anch’io avevo immaginato viaggi, visite ad amiche lontane, attività di volontariato con cui dare senso a questo tempo! Quindi, evidentemente, è il tempo della riflessione e della fantasia, quello in cui bisogna ri-immaginare una vita, con chiaroscuri prevedibili, ma con slancio e senza paura, nutrendosi del passato ricco e appagante, ma inventandosi qualcosa di nuovo. E sicuramente, conoscendoti, troverai il modo per rimodulare le giornate e riempirle di senso e di risate!

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  9. Anna Passerelli

    Franca, un vero “fiume in piena”, tu, donna che a scuola mi restituivi equilibrio e pacatezza facendomi sentire sempre compresa e accompagnando con la tua risata i teatrini tragicomici che inscenavo a commento di quanto ci capitava a casa e a scuola, tu sei un “fiume in piena”. E la parola, prof, è lo strumento con cui ci riveli con limpida e genuina trasparenza la tua inquietudine di vivere (e non di essere in pensione!). La parola… Devo dire però che standoti vicina in questi anni ho percepito questa tua inquietudine, dietro l’à plomb della vera signora, ben prima che si rivelasse in modo così aperto in questo momento di cambiamento e in questo scenario apocalittico. Era nella tua natura, nella tua sensibilità, nella tua cultura e nelle fatiche e dolori della tua vita; e la mostravi con discrezione e compostezza in rari momenti.
    Ora non insegni più, non puoi viaggiare, neanche andare al cinema o a teatro, e il coperchio si solleva, ci devi fare i conti. Prima semplicemente non te lo potevi permettere, questo solo è cambiato.
    E allora, che si fa? I tuoi libri ci sono, la musica si può ascoltare alla radio, il teatro si vede su YouTube, le conferenze sono online…e soprattutto le persone che ami (quello che ha scritto Andrea mi ha commossa!) e che ti amano (presente!), ci sono, e …rullo di tamburi…sono la tua possibilità di trascendenza. Riposa senza sensi di colpa che il cammino “ad astra” è lungo e faticoso! A proposito, quando andiamo a camminare? Andiamo a cercare qualche stellina assieme;)

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  10. Marina

    Cara Franca,
    leggerti in quest’analisi così lucida e profonda mi ha lasciata attonita, anche perché dentro di me ogni tanto si affacciava l’idea di come sarà in futuro il passaggio al pensionamento….e un po’ di angoscia l’accompagnava.
    Ora, sentire questo vissuto, peraltro in un momento così tribolato, acuisce il senso di vertigine che spaventa, ma allo stesso tempo stimola una reazione di ricerca, di riflessione a livello personale, intima, individuale.
    È vero, ora la tua fase della vita è tutt’altro rispetto solo a qualche tempo fa….e non sempre i tempi della vita stessa maturano al momento giusto per consegnarci una nuova dimensione…ma siamo noi a doverci “adattare” oppure da qui parte una spinta ad esplorare altro di noi stessi, di ciò che ci circonda?

    Ma il rammarico che provo, dall’esterno, è sapere che ai docenti della tua tempra ed essenza non si possano aprire ambiti già predisposti in cui far confluire le proprie esperienze scolastiche, magari a sostegno delle giovani generazioni di insegnanti, o di progetti scolastici/sociali ad hoc. Una sorta di continuità, insomma, a beneficio della collettività e di chi tanto ha contribuito a costruirla, durante la sua vita lavorativa….una ricchezza da coltivare.

    Grazie per la tua condivisione, ti mando un caro abbraccio!

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  11. Paola romano

    Lette le belle riflessioni di Franca credo che il nodo della questione sia capire cosa significa essere donna.
    Da sempre la donna ha patito l’esclusione dal diritto di cittadinanza nella storia, perché soggetto particolare, di cui temere la forza. Le prime forme d’arte rappresentavano la Venere multiforme, panciuta, dai grossi seni, fertile e datrice di vita: ma senza volto. Col tempo ha migliorato le forme, divenendo divinità, simbolo di bellezza e amore, ma pur sempre una Venere sottomessa, costretta a unirsi in moglie a uomini brutti, ad essere infelice, costretta a tradire per godere di un attimo di felicità. Poi trasformata in strega, tentatrice e peccatrice, Madonna pura e santa solo se ubbidiente e accondiscendente. Tuttavia neppure i roghi in cui bruciava hanno spento la sua determinazione, la sua intelligenza, la sua energia. A tal punto che alcune culture ( fa ridere dover usare questo termine!) hanno imposto lo schermo di un velo sul volto, vietato ogni forma di emancipazione, a nascondere ciò che può far paura, lo sguardo, la pelle, la bellezza, perché intimidiscono o svelano la verità.
    Ma la forza femminile sta nel continuo trasformarsi e vivere ruoli, da altri imposti, riuscendo a migliorarsi, a conquistare il suo posto negato: da figlia a madre, da ragazza a moglie, da studentessa a lavoratrice, da lavoratrice a casalinga, riuscendo a trovare la sua dignità anche nelle condizioni più modeste. Penso a tutte le donne che hanno trovato la forza di allearsi per le cause di tutte e per quelle degli altri uomini, alle madri mancate o alle mogli negate, per scelta, alle mamme casalinghe, che hanno gestito l’economia di famiglie, garantito lo studio ai figli con il loro attento risparmio, alle professioniste che hanno guadagnato una carriera e continuano a lavorare con passione a fianco di chi le ha per molti anni sottovalutate. Penso alla mamma di Giulio Regeni che sfida l’ironia e la spocchia di chi la trova insistente, persino molesta, perché lotta non solo per il suo figlio martoriato, ma per i figli di tutte le altre donne. Anche lei insegnante in passato, suo malgrado si è riconvertita a guerrigliera, ha fatto del suo strazio di madre un motivo per non mollare. Penso a Liliana Segre, con il peso dei suoi anni sempre in prima linea, lei che un tempo era bimba timida e riservata, a cui hanno rubato l’infanzia e che, a dispetto, ha trovato la sua forza nella voce, lei che parla a nome di chi non c’è più. Anche lei, eroina per alcuni, è un fastidio continuo per molti, anche a lei vorrebbero mettere un velo, ma immancabilmente, sotto il peso dei suoi anni, lei se lo strappa.
    Penso a tutte noi che, dopo aver investito nella nostra vita e in quella degli altri le nostre energie, guardandoci allo specchio osserviamo con sospetto ogni segno del tempo sul viso e pensiamo di essere inutili. E dico di non cedere alla debolezza del momento, dico che ancora una volta dobbiamo rimetterci in moto e trovare una nuova dimensione, ritrovare o riconquistare un posto nel mondo, respirare a pieni polmoni quella libertà finalmente che ci viene dal non dover dimostrare più niente a nessuno.

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    • Silvia Magnaldi

      Grazie del suo commento, di un’intensità davvero emozionante.
      Sia dal suo intervento che da quelli che lo hanno preceduto traspare una straordinaria empatia.

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